Una ragazza
come tante con pochissimo da perdere e tanto ancora da regalare a questo
'Verse. Quando ho incontrato Gabrielle su Clackline nessuno avrebbe potuto
assicurarmi che quella ragazza non mi avrebbe fatto pentire della scelta che ho
fatto portandola nella mia vita: bisognava rischiare, ed è quello che ho fatto
quella volta.
Ho provato
a sentirmi lei ed alla fine ci sono riuscito tanto bene da non capire dove
finisco io ed inizia Gabrielle.
Quando
siamo arrivati su Greenfield eravamo entrambi spauriti e sconosciuti, non
sapevamo chi né cosa eravamo fino a quando non mi chiesero chi fosse. Costretto
dagli eventi e senza pensarci su una sola volta l'ho chiamata "sorella"
ed ora quel termine è rimasto tra noi come un macigno, un muro trasparente che
ci rende ciò che siamo e che in fin dei conti non siamo.
Perché
complicarmi tanto la vita? Potevo dire la verità allora e nessuno se ne sarebbe
accorto. D'altronde cosa volete che importi alla gente con chi stai, con chi
dormi o con chi passi il tuo tempo?
Ho deciso
per entrambi e lei allo stesso modo mi ha chiamato “fratello”...ma per quale
motivo di tanto in tanto, quando estranei le chiedono chi sono e cosa ci
unisce, lei prova vergogna o imbarazzo nel dover dire quella che tra noi è
ormai diventata una verità? Scomoda magari e forse impossibile da pronunciare
nel nostro privato, Gabrielle sa chi sono, sa cosa sono, cosa ero, forse è
questo a trattenerla?
Mia sorella...è
questo quel che sente un fratello per una sorella? Sono sempre stato possessivo
e geloso delle mie cose e lei in fin dei conti mi appartiene, Gabrielle quella
sera l'ha ribadito, non volevo credere alle mie orecchie ma cosi è stato
<Émile non riesco a dividermi da te, ho bisogno di te, è come se ti
appartenessi, come se tu fossi il mio padrone..>
Chiuso da
qualche parte nel mio cervello l'istinto mi suggeriva di andare via, lasciarla,
dirle di trovarsi un altro padrone perché io non lo sarei MAI stato. Ma
l'inverosimile era poi l'unica cosa possibile, è vero, sono il suo padrone e lei
mi appartiene, ma mi rendo conto giorno dopo giorno di come quell'assioma sia
tale anche per me. Io le appartengo, lei è padrona e schiava, è mia sorella ed
è l'unica persona che sa chi sono veramente, l'unica che senza parole è
riuscita a conoscermi veramente, la sola, e non ha bisogno di domande né risposte.
Anch'io ho bisogno di lei: noi ci completiamo.
Kiki è
lontana, Kiki non è lei, Kiki non mi chiama, non mi scrive, Kiki ha
semplicemente capito che c'è un'altra donna tra me e lei, e quella donna è mia
sorella, Gabrielle: se lo aspettava? Sapeva che sarebbe successo? Abbiamo
troppe cose da dirci, In assenza di quei viaggi per vederla, senza riuscire a
guardarla e a malapena sentirla, la donna che amo sta scivolando via dalla mia
vita: perdo una compagna, ritrovo una sorella...forse è quello che volevo...una
sorella, se davvero lei lo fosse.
Era tardi
quella sera, lei dormiva ed io ero tornato da quella serata assurda. in
compagnia di Megan, la stanza era la mia e mi aspettavo comunque di trovarla,
d'altronde io e lei condividiamo gli stessi spazi e lo stesso letto ormai da
tempo, lei ha addosso il mio odore ed io il suo, ci siamo scambiati l'anima e
le sensazioni senza rendercene conto, lei sa cosa voglio ed io so cosa vuole
lei, cosi ho provato a non svegliarla, la mattina dopo le avrei detto che ero
tornato tardi e non volevo svegliarla, una bugia in fin dei conti.
Quando mi infilo nel letto e faccio per
girarmi dall'altra parte dandole la schiena, lei parla..
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Ero finita. Avevo una vita finita. O più
propriamente non mi sentivo affatto viva. Per tutto quello che mi era capitato
e mi avevano fatto su Clackline.
Mi sentivo vuota, priva di carattere ed
emozioni. Eppure le sentivo soffocare nello stomaco, come tutt’ora mi succede.
E’ uno sforzo, per me, continuare a trattenermi.
So che non dovrei più farlo, non ci sarà
qualcuno che mi legherà e mi frusterà al palo per una parola detta con
sincerità o per un gesto spontaneo. Lo so, non sarà più così. E non ho timore
che possa accadere. Forse semplicemente sono talmente abituata a non esprimermi
che non lo faccio. Non ho paura di farlo, solo mi risulta innaturale.
Ed ancora oggi mi chiedo perché Emile
possa voler bene ad un pezzo di legno, una pietra. Ma io so cosa ha visto in
me. Quando ci siamo conosciuti lui mi ha guardata come mi guardò il padron
Stone. Jona Stone, un tempo, mi ha letto negli occhi di disperazione e la
rassegnazione. Emile Rousseau mi ha visto dentro una voglia profonda di far
uscire me stessa dal mio corpo.
E ci sto provando, giorno dopo giorno,
anche se spesso mi ritrovo a scappare da chi al ranch mi chiede semplicemente
come sto o dove sto andando. Ho paura che la gente sappia troppo di me, della
mia storia, e che per questo provi disprezzo o compassione. Io non voglio la
pietà delle persone, i “Oh, poverina!” valgono meno di un the caldo in piena
afa estiva.
Vorrei che la gente mi conoscesse nel
modo giusto. Ma non so nemmeno io quale sia. Per questo seguo Emile: lui mi
guarda e mi sorride e mi fa capire se sto facendo bene o male. Anche se so, in
cuor mio, che lui mi permetterebbe tutto, perché vuole che io mi apra.
Non è così semplice, quando hai dovuto
nasconderti per tanti anni. Dopo un po’ impari a parlare da muta e a guardare
da cieca. Ma lui no, lui non è cieco, soprattutto non è sordo, a me.
L’altra sera ho sorriso, per la prima
volta dopo anni, sinceramente. Lo ha notato, ma non era felice. Forse perché
non eravamo soli e non ho regalato solo a lui quel mio primo sorriso. Ma lui
non sa che quando al mattino uno dei due esce per primo dalla stanza io
sorrido, nel vederlo andar via. Non perché voglia sentirlo lontano, ma perché
lo ringrazio d’essere stato con me tutto il giorno precedente e tutta la notte
appena trascorsa; perché non vedo l’ora che ci ritroviamo di nuovo così.
Anche quel giorno siamo stati assieme,
finché non mi ha lasciata mentre ancora stavo lavorando. Pensavo che sarebbe
tornato per cena e così l’ho portata in camera. Alla fine ho mangiato qualche
briciola, come sempre, aspettando che lui consumasse la sua parte. Ma quand’è
rientrato ormai era tutto freddo ed immangiabile.
Era molto tardi, ma non dormivo. Quella
notte ho torturato le unghie, non mi importava, sarebbero ricresciute. Ho
tirato un sospiro di sollievo quando la porta si è richiusa, ma non avevo il coraggio
di guardarlo e parlargli. Per dirgli cosa poi? Come avrei giustificato la mia
preoccupazione? Quello forte fra i due è lui, in fondo. Ma avevo immaginato le
cose più atroci, per il suo ritardo.
Continuavo a non guardarlo, immaginavo
la sua figura, conoscendo bene il suo corpo ed il suo viso.
Gli stivali vicino alla porta.
Ah, ti ho svegliata?
No, non mi hai fatto addormentare.
Mi spiace. È che ho avuto un
imprevisto..
Ti è scappato un cavallo?
No. Solo.. Ho incontrato un’amica e mi
sembrava carino farle un po’ di compagnia prima di riaccompagnarla in città.
Mi hai lasciata qui da sola per tutte
queste ore per parlare con un’amica?
No.. Cioè sì.. Gabri..
Lascia stare, non importa. Non sono
padrona del tuo tempo.
Elle.. Mi spiace..
Dormiamo.
Ovviamente non ho chiuso occhio. È
evidente che ultimamente preferisca la compagnia di altre persone alla mia,
quella di altre donne. Ma d’altro canto non posso pretendere che stia sempre
con me. Fratello e sorella: lui è me ed io sono lui, ma non possiamo restare
soli in eterno. Siamo la stessa anima, in due corpi. Ma un corpo è solo un modo
materiale per essere presenti qui: siamo vivi e lo siamo assieme.